giovedì 27 novembre 2014

Dalla Russia con amore


Rita Frattolillo


A Mosca, con la bella stagione, al Belvedere dei passeri che si apre davanti all’imponente edificio dell’Università statale Romanov (fondata nel 1755 da Michele Romanov) e offre un colpo d’occhio formidabile sulla città attraversata dal nastro argenteo della Moscova, va in scena il popolo dei centauri, una folla di giovani nerboruti in jeans e giubbotto che sull’imbrunire  invadono lo spiazzo a bordo  di moto luccicanti e dal rombo potente; poi,  spento il motore, parcheggiano e, allungati sul loro bolide, birra e sigaretta in mano, raccontano per buona parte della notte le loro prodezze ai vicini di manubrio. Dopo un po’, l’aria, carica di fumo, dell’odore pungente della birra e dei tubi di scappamento, diventa irrespirabile. La Mosca di oggi ama la vita notturna, bere e divertirsi, anche se i casinò sono stati chiusi da un pezzo e i moscoviti sanno che il Grande Fratello, non il reality, ma quello vero, li controlla notte e dì.



Mi trovo da qualche ora nella capitale della confederazione russa grazie ad un viaggio agognato da anni e finalmente realizzato, e ora che sono qui mai avrei creduto che la sua visione dovesse scuotermi tanto. I miei occhi viaggiano sopra al panorama della città stesa ai miei piedi e mi pare di trovarmi in un altro mondo, provvisto di una grandiosità che non è dovuta solo agli spazi immensi. Ovunque butto l’occhio, è come se vedessi dentro a un caleidoscopio, poiché su qualunque cosa io fissi lo sguardo, si aggiunge  quanto appreso nei libri o dai media. Cerco a fatica di far ordine tra i sentimenti che mi si affollano nel cuore. Lontana non solo geograficamente, la Russia mi è sempre apparsa come un terra dai colori forti e spesso contrastanti: Ivan il Terribile e i Bojardi, le taighe e la Siberia, i girasoli e le betulle, Pietro il Grande e Caterina II, la Rivoluzione bolscevica e la cortina di ferro, Guerra e Pace e Resurrezione,  Nabokov e Solzenicyn, le figurette volanti nei cieli azzurri di Chagall e il dottor Zivago tra la neve, le danze cosacche, Rasputin e lo splendore delle icone. Il tutto in una specie di limbo brumoso.


Ma forse il sentimento che mi coglie dipende anche dalla deformazione mentale di noi occidentali, condizionati come siamo da una visione unilaterale costruita sulla stratificazione di un bagaglio di conoscenze comunque “viziate” da una scarsa  obbiettività. Forse  dovrei adottare il punto di vista russo, o, almeno, guardare il loro mondo con occhi sgombri…chissà.

Da questo Belvedere resto in muta contemplazione dello sconfinato complesso urbano, in cui si distinguono lo stadio Lenin e  imponenti   edifici svettanti in diversi punti, chiamati  “Sette sorelle”.
 Megalopoli di 13 milioni di abitanti (stime ufficiali) di cui 3  milioni musulmani, con 3 moschee (la 4^ è in costruzione),  2 chiese cattoliche, un numero indefinito di quelle ortodosse,  5 stazioni ferroviarie (ubicate nei vari punti cardinali, a seconda delle destinazioni) e svariati aeroporti, Mosca si estende su sette colline, come Roma, Lisbona e Istanbul, e si mostra al visitatore come una  gigantesca, luminosa vetrina che offre il meglio di sé, anche se le sue pietre lasciano leggere la storia complicata che l’ha segnata da quando  non era che un piccolo villaggio di legno e fango sulle rive del grande fiume da cui ha preso il nome.

Gli edifici del costruttivismo staliniano si distinguono per il grande arco d’ingresso al cortile, mentre quelli brezneviani sono tutti eguali, anche nel colore, che è di un celestino tenue. Le “Sette sorelle” sono  costruzioni gotico-moderniste terminanti con torri gugliate - destinate all’amministrazione pubblica (per lo più ministeri) e all’Università - volute da Stalin in occasione dell’ottocentesimo anniversario della fondazione di Mosca (1947). Oggi alcune di esse esibiscono le insegne luminose degli hotel pentastellati.
Qua e là saltano agli occhi i segni della passata, severa e ancora un po’ minacciosa capitale del regime sovietico: il grigio edificio della Duma, quello della famigerata Lubianka, sede della Polizia segreta,  incombono, e non sono la proiezione dell’immaginazione coltivata in decenni di romanzi e film di spionaggio, né il risultato del battage mediatico sulla guerra fredda e la cortina di ferro. D’altronde sono le nostre guide russe a spiegarci che l’unica chiesa cattolica, S.Luigi dei Francesi, che non era stata chiusa durante il periodo sovietico solo perché frequentata dal corpo diplomatico, era circondata da un bel numero di telecamere del KGB a cui non sfuggiva nessun movimento.

Sarà la suggestione, ma neanche il palazzone presidenziale, denominato, guarda un pò, Casa Bianca, ispira fiducia, con la sua lunga facciata intercalata da colonne piatte e sormontata dall’alto corpo centrale.
 Tuttavia, chi si aspettava di trovare la città disseminata dello storico emblema della falce- e- martello  rimane deluso; ne è sopravvissuto solo qualcuno tra i decori della metropolitana, realizzata verso il 1935 con profusione di statue e rivestimenti artistici (stucchi, vetrate e lampadari liberty, mosaici) che la rendono tra le più belle del mondo, e sulle cui linee ogni giorno si spostano 4 milioni di moscoviti. Negli alberghi, come in tutti i luoghi pubblici da noi visitati, esso è stato rimpiazzato dalla risorta aquila bicefala di memoria asburgica.


Ma non è solo  il simbolo dei lavoratori ad essere finito in soffitta. Infatti una tenace volontà di rinnovamento ha cambiato la faccia e l’atmosfera di molti quartieri. Nel giro di qualche decennio tutti i palazzi importanti e  i monumenti, chiese comprese, sono stati restaurati e rimessi a nuovo. Aggirarsi per le strade lunghissime e ampie bordate di fiori, tra le facciate di edifici storici perfettamente tenuti, visitare le chiese ortodosse (oggi spesso sconsacrate e adibite a musei) dalle cupole a elmo o a  cipolla favolosamente colorate e dagli interni abbaglianti di luci e affreschi, dà la vertigine e al tempo stesso mi dà la piena consapevolezza di quanto presuntuosi siamo noi occidentali nel considerarci troppo spesso l’ombelico del pianeta in quanto i fortunati eredi della  ineguagliabile cultura classica.

Intanto, mentre i pensieri galleggiano alla superficie della mente, girando per strade e piazze mi accorgo di una “strana” assenza: neanche l’ombra di barboni, mendicanti o “vù compra”, niente musicanti girovaghi lungo le strade o nelle stazioni del métro, niet scritte sui muri! Se penso che nelle nostre città ormai facciamo la gimkana tra un’orda umana di varia provenienza che chiede (o pretende) l’obolo, e che i vagoni del métro sono un’accozzaglia di sporcizia e coloracci spruzzati da vandali sedicenti wrighters, qui mi sembra di essere caduta su un altro pianeta…Nessuno che salti sui tornelli sotto lo sguardo indifferente dei “vigilanti”, per accedere ai vagoni senza ticket, scena che ho visto troppe volte a Roma come a Milano per non rimanere sbigottita! In superficie, poi, malgrado il traffico  intenso (noto tante le auto  costose non ancora viste in Italia) e la fiumana di gente, la megalopoli è pulitissima e  molto ordinata. Il traffico è scorrevole, ben regolato; niente parcheggi selvaggi, come da noi, niente auto ferme sugli scivoli o sulle strisce, o ammucchiate, come da noi, in seconda o terza fila …

 Mi vengono a mente gli occhi di ghiaccio di Putin, il suo enorme potere, ma anche la responsabilità tremenda di governare e tenere assieme, dopo il dissolvimento dell’Unione sovietica, i 143 milioni di russi, espressione di provenienze, etnie e culture tanto diverse tra loro. E’ indispensabile adottare un sistema forte, basato sul controllo, sul rispetto delle regole: ne ho un buon esempio davanti agli occhi.

 Non occorre infatti essere osservatori acuti per accorgersi che la Polizia è onnipresente, troviamo dappertutto vigilanti e unità cinofile nelle metropolitane, spazzini e giardinieri al lavoro a qualunque ora. Tutti sembrano prendere molto sul serio il loro incarico, nessuno tira a campare o lascia correre (arte in cui- a quanto pare - siamo noi italiani i maestri). Il culto dei fiori, le aiole coloratissime, gli alberi di mele verdi (che per il clima freddo non arrivano mai a maturazione, ma poco importa, fanno piacere alla vista), i molti parchi richiedono un lavoro capillare e preciso (occorre sostiuire quel fiore di un certo colore…); neanche a pagarli troviamo una foglia secca, un fiore appassito o una cartaccia buttata per terra.  Dietro a tanta pulizia c’è un lavoro indefesso di centinaia se non migliaia di addetti (quasi sempre giovani, cosa che spiega un tasso di disoccupazione bassissimo, al 3%). Quanto ho visto basta e avanza per fare un confronto immediato e sconfortante con le nostre città,  che se non altro per le loro microdimensioni potrebbero essere tenute come gioielli, mentre troppo spesso, per l’incuria colpevole di chi non fa  rispettare le regole, sono trascurate e abbandonate al degrado, in balia di una massa sconsiderata  che ha smarrito (se mai lo aveva avuto) ogni senso del vivere civile e del rispetto più elementare, oltraggiando  con uguale indifferenza uomini e cose. E’ triste a dirsi, ma dovremmo chiederci dove è finita la nostra civiltà, parola di cui ci riempiamo troppo spesso la bocca!

***
 La capitale russa celebra doviziosamente  i suoi grandi, intellettuali, artisti, condottieri e politici : i monumenti a Gogol, a Tolstoj, a Pushkin, a Cechov, a Belyi (solo per citare alcuni scrittori), a Nureyev, sono magnifici, e spesso le loro abitazioni sono case-museo (come quella di Marina Cvetaeva, o del compositore Aleksandr Skrjabin); ecco Gorkij Park, quello che ha dato il titolo al famoso romanzo di Cruz Smith Martin che mi ha tenuto con il fiato sospeso, mentre villa Gorkij, in stile liberty, ora museo, fu donata allo scrittore da Stalin che  gliel’assegnò dopo averla espropriata al legittimo proprietario, il mercante Rjabusinskij, che se l’era costruita per sé. Il Conservatorio, fondato da Chajkovkij, è preceduto dalla statua del grande compositore, il Museo di belle arti è intitolato a Pushkin. La statua equestre del comandante Zuchov, vincitore della seconda guerra mondiale, domina lo spiazzo antistante l’accesso (attraverso la Porta della Resurrezione) alla Piazza Rossa.

 Cuore antico di Mosca,  la Piazza Rossa era al tempo degli zar punto d’incontro tra vita civile e religiosa, teatro dei mercati e delle feste popolari, ma anche delle esecuzioni, come conferma il patibolo in pietra a forma circolare, dove Pietro il Grande  nel 1698 mandò a morte ben 2mila guardie che gli si erano ribellate.
 Estesa ad est del Cremlino, è delimitata da un’infilata incredibile di architetture risalenti a diverse epoche e decisamente sincretiche, ma tutte ben armonizzate tra loro. Per quanto è suggestiva, grandiosa e piena di bellezze, lascia sbigottiti: percorrerla tutta richiede gambe leggere, ma l’impresa vale la fatica.
Nessuna dissonanza, tra la chiesa (ricostruita nel 1993 dopo essere stata abbattuta durante il regime comunista) della Madonna di Kazan, dedicata alla Vergine alla cui intercessione il popolo attribuì la vittoria sui polacchi,  e la lunghissima facciata dei magazzini di Stato Gum (niente da spartire con la nostra idea di magazzini: questi sono tre gallerie parallele con copertura trasparente a botte, scale mobili, bar e aiuole annaffiate a vapore, su cui si affacciano  boutique delle maggiori griffe mondiali). In fondo alla piazza si erge la cattedrale-museo di S. Basilio (voluta da Ivan il terribile dopo la vittoria sui Tartari a Kazan) con le sue cupole fiabesche, bizzarre e coloratissime.

 E’ dedicata al veggente nonché beato Basilio, lì sepolto, il quale predisse a Ivan che avrebbe ucciso  il proprio figlio, cosa che puntulamente accadde.
 Una leggenda vuole che Ivan, finiti i lavori della chiesa, fece accecare i due progettisti Barma e Postnik per impedire che realizzassero monumenti simili. Un po’ come il Borbone “ringraziò” l’architetto Luigi Vanvitelli dopo la realizzazione della reggia di Caserta, insomma.

 Davanti alla cattedrale di S. Basilio è stato eretto il monumento ai due eroi nazionali Minin e Pogiarskij, l’umile macellaio e il  principe che sconfissero definitivamente i Polacchi nel 1612. Sulla destra, in perfetto contrasto con le brillanti vetrine dei magazzini Gum, si distinguono il giardino-cimitero dove sono sepolti i resti di alcune figure cardine della Storia russa (Stalin, Breznev, Andropov, Cernenko), il lungo mausoleo di granito rosso e porfido a gradoni di Lenin, l’uomo che tanta parte ha avuto nella storia nazionale  e mondiale.
La fiamma perenne, che è presidiata da un picchetto d’onore, arde per il Milite Ignoto caduto nelle guerre.
 Guerre recenti di cui è ancora vivo il ricordo, qui come a S. Pietroburgo, che subì 900 giorni di assedio nazista, e come nel monastero di S. Eufemio, che ospita il piccolo, lindo cimitero dove sono sepolti mille dei nostri soldati deportati dopo la terribile battaglia di Stalingrado (1943).


 In quel monastero, che visiteremo, una sala conserva i documenti del loro passaggio, espone i disegni  eseguiti dai soldati sopravvissuti, tra cui tale Giuseppe Bassi. Ci informano che lì negli anni ’60 hanno girato diverse scene del film di Tarkovski sul monaco artista quattrocentesco Rublev, ma quello che mi ha colpito  è stato constatare con quale fierezza le nostre guide, sentendosi un po’ italiane, ci mostravano i quadri donati al  monastero dal “nostro” Tonino Guerra, che li aveva eseguiti tra il 1999 e il 2001. Niente male, il talento artistico del nostro compatriota!
***
Dalla Piazza Rossa  si accede al Cremlino attraverso la Porta della Trinità (costruita su progetto dell’italiano Aloisio da Carcano), sormontata dal simbolo delle forze armate, la stella rossa,  che, girando lentamente su se stessa, brilla in alto nella notte. Il Cremlino (termine che significa “cittadella fortificata”) è il nucleo antico del villaggio da cui ebbe origine Mosca. A struttura triangolare, è circondato da oltre due chilometri di alte mura. All’inizio costruito in legno (1156) come il nucleo originario di S. Pietroburgo (la Fortezza dei SS. Pietro e Paolo), fu via via sostituito da edifici in muratura che Ivan il Grande fece ampliare e ristrutturare da architetti russi e italiani, tra cui Antonio Solari e Marco Ruffo (a S.  Pietroburgo furono soprattutto  i due Rastrelli e Carlo Rossi a dare il volto alla città), che  seppero fondere mirabilmente le linee architettoniche occidentali con quelle slava e asiatica. E infatti le 19 torri che movimentano l’imponente  cinta muraria sono ispirate alle linee del Castello Sforza di Milano.

Teatro dei maggiori eventi della storia del Paese, sopravvissuto alla rabbia di Napoleone che ne fece saltare in aria alcune parti, e all’invasione dei bolscevichi nel 1917, il Cremlino è stato aperto al pubblico nel 1955.  Tra i suoi edifici  sono passati patriarchi, zar  e  Napoleone, che qui vide svanire il suo sogno di conquista. Nel dopoguerra Kruscev vi studiò i  piani da adottare nella politica della guerra fredda mentre si andava convincendo che “ l’Europa è la nostra casa”, poi Gorbaciov vi iniziò la sua perestroja; Elstin varò la nascita della nuova Russia. Ora  è qui che Putin, forte di un consenso popolare dell’85% (dati del novembre 2014),  guardando in direzione della Cina, porta avanti la sua politica nazionalista tesa a  rendere più forte il gigante russo, che è  dotato di ricchezze naturali enormi e di uno straordinario potenziale umano.

Costituito da diversi nuclei, il Cremlino racchiude tra le sue mura molte chiese perché acquistò importanza particolare dopo essere diventato la sede centrale della Chiesa russa. Esse hanno linee fiabesche, e sono caratterizzate dalle cupole dorate o argentee che contrastano con il rosso delle mura. Ben sei ne sono concentrate nell’incredibile piazza delle cattedrali, diverse per stile (da quello bizantino al rinascimentale impresso dagli architetti italiani) e  funzione,  tutte fastose. Una piazza destinata a incidere - nell’intento degli zar - sulla spiritualità del popolo, ma anche a renderlo partecipe della vita della nazione. Di questi templi, il duomo della Dormizione (o Assunzione), con le sue cinque cupole dorate, è quello legato ai maggiori avvenimenti del paese.  In questo duomo erano cantati i Te Deum all’inizio di una campagna o dopo una vittoria, venivano resi pubblici gli atti statali. Qui erano scelti e intronizzati (e anche sepolti) i capi della Chiesa, venivano consacrati i monarchi, e  a tale proposito si racconta che Elisabetta, per raggiungere da S. Pietroburgo questa cattedrale dove doveva essere incoronata, viaggiò per tre giorni (un vero record per quei tempi) sulla sua carrozza a slitta trainata da sette troike, carrozza che ho potuto ammirare all’Armeria reale.  Fu costruita nel 1400  su progetto del bolognese Aristotele Fioravanti che si ispirò alla chiesa di Vladimir, la cui Madonna,  la più venerata in Russia, è affrescata al di sopra della porta principale. Chiusa al culto dai bolscevichi nel 1918, e spogliata di tutto come ogni altra chiesa, è stata restituita nel 1989 e oggi è un luogo di rara bellezza. Se ne possono ammirare l’iconostasi, gli affreschi delle scuole di Novogorod e di Pskov.


Il duomo dell’Annunciazione, dalle cupole dorate e azzurre, voluto sul finire del 1400 dal gran principe di Mosca Ivan III Vasilevic, era destinato alle cerimonie domestiche e private, battesimi e matrimoni.
 Accanto, la chiesa dell’Arcangelo Michele si deve ad Aloisio Nuovo, che la costruì agli inizi del 1500. Dedicata all’Arcangelo che, essendo un guerriero, era considerato dai principi di Mosca il loro protettore, è in stile bizantino russo ma con influenze del rinascimento veneziano. E’ stata  la necropoli di tutti i signori di Mosca fino al 1690 e custodisce le tombe di Ivan il Grande e di Ivan il Terribile.
Di fronte a tante bellezze, non si può non pensare all’estrema povertà della servitù della gleba che si dibatteva tra gli stenti, la fame  e il gelo dei lunghi inverni da affrontare con  i calzari di corteccia di betulla…Con quale animo, leggendo il Vangelo  o inchinandosi davanti alle splendide icone, il potere politico e quello religioso hanno potuto tollerare quello stato di cose, senza nessuna pietas, e senza neanche prevedere quale fuoco  covasse sotto la cenere!

 Il lato occidentale è occupato dal Palazzo dei diamanti, costruito nel 1400 su progetto di Ruffo e Solari che si ispirarono all’omonimo Palazzo di Ferrara. Impossibile visitare tutte le chiese,  i musei e gli appartamenti  degli zar e delle zarine, custoditi all’interno di questo che  è nel mondo il simbolo di Mosca e dell’intero Paese.

 Ma c’è anche da aggiungere che gli  infiniti tesori qui racchiusi  si godono poco a causa della barriera  linguistica: disgraziatamente il turista si trova disorientato di fronte alle scritte in cirillico; solo raramente c’è un cartello in alfabeto latino, cosa che mette non solo  a dura prova la volontà di muoversi senza la guida, ma rende anche  impossibile la comprensione delle didascalie, che, beffardamente, danno spiegazioni incomprensibili nelle teche sotto ai preziosi tesori degli zar, alle straordinarie icone, alle armi, ai quadri esposti nei ricchissimi musei.

La chiusura linguistica contrasta con la volontà di modernità portata avanti dal governo: come aprirsi davvero se si rimane così impermeabili alla necessità di comprendere ed essere compresi? Non è stato raro percepire lo sguardo ostile del vigilante di fronte ad una nostra richiesta di informazione espressa in inglese (ancora peggio se in francese..l’affronto subito da parte di  Napoleone non è acqua passata!). Eppure, il turismo estero è quanto mai fiorente, e sicuramente ha il suo bel peso nel budget nazionale.
Che sia il retaggio di un passato plurisecolare punteggiato da invasioni e saccheggi?

 Un passato di cui resta traccia anche nelle credenze religiose. Molte leggende, ad esempio, sono fiorite intorno all’intercessione della Vergine, la quale avrebbe salvato diverse città dagli attacchi nemici,  per cui il popolo venera  la Madonna di Smolensk, di Kazan, di Vladimir, del Don.
 Anzi, la Madonna del Don è la protrettrice degli eserciti da quando, nel lontano1380, dopo che lo zar Fedor Ivanovich aveva esposto la sacra immagine sul luogo della battaglia, la Vergine apparve in sogno al tartaro Giri mentre bersagliava il suo esercito con frecce infuocate. Il nemico fuggì. Come ringraziamento, Fedor fece innalzare il monastero Donskoj per ospitare l’icona della Vergine.

Monasteri e cattedrali sono stati dedicati anche al difensore della Russia per eccellenza, il principe-soldato Alexandr Nevskij (1220-1263), proclamato santo dal sinodo della Chiesa ortodossa russa nel 1547. E’ considerato con Ivan Susanin eroe nazionale perché difese  le terre del Nord-Ovest dagli svedesi e dai tedeschi del Baltico. Sulle sue gesta il regista Sergej Michajlovich Ejzenshtejn ha girato un film nel 1938 (restaurato nel 1986) con musica di Sergej Prokofiev.
La celebre vittoria nella battaglia della Neva, che gli  valse il soprannome “Nevskij”, è solo uno degli eventi bellici che contrastarono i tentativi di invasione del territorio che era già stato occupato dai russi (gli antichi vichinghi), qui giunti dal Nord  attraverso le vie d’acqua.
 Ma  svedesi e norvegesi non davano tregua, e anche i mongoli minacciavano incursioni dall’Asia, tanto che nei secoli successivi, sul territorio, specie intorno alla capitale, sorsero complessi monastici  dall’aspetto di fortezze, dotati di torri di guardia e mura merlate.

E di vere e proprie costruzioni di difesa si trattava,  perché i dominatori asiatici dell’Orda d’oro periodicamente sottoponevano la città a violente incursioni durante le quali uccidevano e saccheggiavano. La popolazione quindi si rifugiava nei monasteri, finché la furia dei tartari non si placava, e  poteva così tornare alle proprie occupazioni e alle campagne.


Visiteremo diversi di questi complessi, detti dell’Anello d’oro, tra cui il monastero di S. Sergio (Lavra di S. Sergio Posad) che è il centro dell’ortodossia russa, paragonabile per importanza al Vaticano.
 Il complesso, che ospita il seminario, la biblioteca, la scuola delle icone, l’accademia, il refettorio, e, ovviamente, un gran numero di chiese, è meta di pellegrinaggio perché qui si trova una fonte di acqua “miracolosa”, e perché nella chiesa della Trinità, dove si ammira l’iconostasi sublime del monaco Rublev, è sepolto il santo.
Le donne, a capo coperto, fanno lunghe file in silenzio biascicando litanie. C’è anche un giovane pope barbuto che  spinge la carrozzina, seguito dalla moglie con un altro bimbo per mano. Nel vederlo, penso che i termpi sono maturi perché anche da noi - seguaci di Santa Romana Chiesa - i sacerdoti possano mettere su famiglia; i tempi sono maturi, ma non per le alte gerarchie ecclesiastiche, a quanto sembra!

 Aleggia una storia intorno alla chiesa della Trinità, che è famosa anche perché vi fu sventato l’assassinio di Pietro il Grande. Si racconta che quando arrivarono i sicari mandati da Sofia, sorellastra dello zar, i monaci prontamente nascosero Pietro dietro alla Porta Santa, dove nessuno può accedere, tranne gli officianti. Così Pietro si salvò,  ma non per questo dimenticò il pericolo che Sofia rappresentava, tanto che la fece rinchiudere per sempre nel monastero delle Vergini (Novodevicij), così chiamato perché secondo la tradizione i tartari da quelle parti vendevano le prigioniere. A Novodevicij  venivano inviate per punizione mogli ripudiate, figlie ribelli  e sorelle inaffidabili degli zar. Una prigione dorata, ricchissima in ogni suo angolo, abbellita via via dalle varie “prigioniere”. Un piccolo cimitero custodisce, oltre alle spoglie delle badesse e delle principesse reali, anche quelle di Kruscev. Ironia del destino!  Un “vero”comunista finito accanto alle donne espressione dell’odiato  potere religioso e dell’assolutismo imperiale!

***
Uno scrittore di cui ricorre spesso il nome nella bocca dei moscoviti  con tono reverenziale è Dostoevsky. Nei suoi ineguagliabili romanzi descrive con cupo realismo le coabitazioni da incubo che fortunatamente da diversi decenni sono solo un brutto ricordo;  nello stesso appartamento (spesso negli angoli della stessa camera) si era costretti – ci dicono le nostre guide - a stare con altre famiglie, in una difficile e litigiosa convivenza per l’uso dei servizi (cucina e gabinetto) in comune. Oggi, il moscovita proprietario di un appartamento di 60-70 mq paga una bolletta condominiale annua di 5500 rubli (il corrispettivo di 120 euro mensili), comprensiva di tutte le utenze (luce, gas, telefono, riscaldamento, spazzatura).
A dare un’accelerata alla soluzione del problema abitativo fu Breznev, che negli anni ’90 garantì l’agognata privacy ai moscoviti dando il via al boom edilizio; ebbe l’idea straordinaria di ricorrere anche ai prefabbricati per velocizzare i tempi.

Niente da spartire, ovviamente, con l’edificazione dell’ “ottava sorella”, il Triumph Palace, un edificio residenziale costruito rispettando le linee architettoniche delle “sorelle”precedenti, con oltre 1000 appartamenti lussuosi e tecnologicamente attrezzati.
 Comunque, gli operai edili oggi guadagnano il corrispettivo di 1200 euro al mese, ma sono pochi  i lavoratori russi, per la maggior parte si tratta di uzbeki, tagiki, kirghisi, che, pur se parlano solo la loro lingua (dopo la svolta della  pereztrojka non è obbligatorio imparare il russo) vengono qui in cerca di lavoro dopo aver ottenuto il permesso, li vediamo lungo le strade.
 La disoccupazione è bassissima, ma la vita costa, specie l’alimentazione, perché è quasi tutta di importazione. I moscoviti spendono da Auchan, ritenuto meno caro, il made in Italy è  un mito inseguito quotidianamente, il turismo è al massimo, e moltissimi sono i turisti con gli occhi a mandorla.

 Tappa d’obbligo di ogni turista è la via Arbat, arteria stradale chiusa su due lati dalla Moscova, dove si susseguono bar, gioiellerie, antiquari. Questa strada, la cui parola - araba - significa sobborgo, in quanto si sviluppò come tale, divenne il cuore commerciale abitato dai mercanti orientali, e solo in seguito venne “adottata”da intellettuali come Turgenev, Bulgakov, Pushkin, che volentieri vi passavano il loro tempo. Un bel gruppo bronzeo rende omaggio a quest’ultimo, che a Mosca era nato nel 1799, aveva studiato nel liceo imperiale vicino a San Pietroburgo, e nella città imperiale - che gli ha dedicato piazze, palazzi e la celebre  statua del “Cavaliere di bronzo”  - trovò una sorte tragica, ma molto romantica, che sicuramente ha contribuito alla sua fama.

Aveva trentotto anni quando per difendere l’onorabilità della bellissima consorte Nathalia, concupita - a quanto si sa- dallo stesso zar, sfidò a duello un incauto corteggiatore, ma ebbe la peggio e le ferite inferte gli furono fatali. Il gruppo bronzeo raffigura lui e la bella moglie, sereni ed eleganti, mentre sembrano  godersi il passeggio dell’animatissima via Arbat.


Il “Falco pellegrino” impiega 4 ore per coprire i 680 chilometri che separano Mosca da San Pietroburgo. Sono a bordo di questo treno GV, che di nuovo mi sorprende perché, a differenza delle nostre “Frecce”, è pulitissimo e molto accogliente: fiori freschi sui tavolini, audiocuffie pro capite usa e getta, servizi igienici ampi e lindi, vagone ristorante ben fornito e dai prezzi giusti, passaggio continuo di carrelli-bibite, servizio instancabile di raccolta rifiuti. Lasciata Mosca alle spalle, appunto lo sguardo sul paesaggio che mi sfila rapidamente davanti. Pianure sterminate sono interrotte da minuscoli villaggi sperduti, campagne incolte cedono qua e là a boschi di conifere e di alte betulle dalla bianca corteccia. Mimetizzate tra il verde vedo basse casette dai tetti spioventi. Sono le povere isbe dei contadini, costruite con tronchi di alberi incastrati tra loro. Ben diverse dalle confortevoli dacie annidate tra i boschi, dove i ricchi  vengono per il week-end o con la bella stagione. Il treno attraversa veloce la Russia profonda, sconfinata e povera, immutabile. Un deserto. Contrasto perfetto con la luccicante istantanea che mi ha consegnato Mosca. Vedo donne anziane che lavano curve i panni nell’acqua gelida del fiume, qualche vecchietta seduta mestamente davanti alla porta con un magro cestino di cetrioli e di cipolle da vendere…

Peterhof


Giungiamo a San Pietroburgo, la città di cui il suo artefice, Pietro il Grande, ebbe a dire: “L’ho trovata di legno, la lascio di marmo”. Qui mi attende un altro scrigno prezioso: l’Ermitage, Peterhof e Mon Plaisir, il villaggio Pushkin, la Nevskij Prospekt, i magnifici edifici storici affacciati sulla Neva; e vedrò, nelle white nights, la luce morbida del crepuscolo invadere il cielo di velluto rosato finché l’alba non alzerà il suo velo chiaro.
Rita Frattolillo©2014 Tutti i diritti riservati


1 commento:

Anonimo ha detto...

In condizioni ideali si preferirebbe l'argento all' oro ed in condizioni ideali si scriverebbe il nome dei Santi con la S maiuscola. In condizioni ideali gli attacchi di guerra contro una Chiesa Ortodossa sarebbero ridotti al minimo. Per ottenere le condizioni ideali si dovrebbe rivedere la teologia.