giovedì 6 settembre 2012

Visitare Bruxelles a piedi, reporter per qualche giorno

A Bruxelles, capitale dell’Europa

Quest’agosto, Bruxelles e Amsterdam. Buona scelta, così scampiamo agli anticicloni bollenti che stanno ardendo l’Italia. Appena messo il naso fuori dall’aereo, nella sterminata pianura che circonda Charleroi (nome familiare ai nostri emigrati molisani), ci sorprende infatti un’arietta frizzante, ben diversa dall’afa lasciata a Roma. Il sole è coperto da un rapido passaggio di nuvole spinte dai venti; bene, penso: camminare sotto qualche pioggerella non sarà male. Saremo accontentati anche troppo, nei giorni seguenti….Qui è la norma, aprire ogni tanto l’ombrellino.

In verità Bruxelles non mi attirava granché, forse per i tiggì che mandano la solita immagine di repertorio del Parlamento o dell’Atomium, che alla tele sembra un giocattolo, quando invece supera i 100 metri di altezza, e insomma la immaginavo scostante, fredda, una city della politica dove tutti o quasi girano in tenuta d’ordinanza e valigetta diplomatica.

Invece! E invece…mi accoglie una città pavesata a festa da mille bandiere al vento, dove profumate, affollate confiseries traboccanti di montagne di pralines si alternano a bar dove la birra (se ne contano 800 varietà) scorre a fiumi e dove si beve cioccolata calda (buonissima!) ad ogni ora e stagione. Gli abitanti di Bruxelles, deduco, godono senza pensieri dei “peccati” della gola, e forse anche per questo hanno un’aria così rilassata, cosa che me li rende subito simpatici.

Lo diventano ancora di più, quando constato, piantina della città alla mano, che sono ben disposti a dare informazioni, e, quando la comprensione lascia a desiderare, con un sorriso mi fanno strada volentieri fino alla prossima meta.

La sensazione di trovarmi in una città serena, aperta, internazionale per davvero, animata da uno spirito lieve, gioioso, mi induce a rinunciare alla programmata visita ai musei per poter vivere l’atmosfera che si respira tra la gente nelle strade e nelle piazze, e magari capire - guardando le pietre - la trama della Storia da cui è nato il belga di oggi.


Prima tappa, la GrandPlace, tanto bella da non sembrare vera, cinta da magnifici edifici, tra cui lo stupendo municipio in gotico- fiammingo, la cui guglia (96 m.) è sormontata dalla statua alata di S. Michele, patrono della città con S. Gudula. Ecco qua, mi dico, un fil rouge unisce il Gargano e la sua grotta con il NordEuropa, passando per il monastero-fortezza di Mont Saint-Michel in Normandia, il “nostro” Arcangelo è venerato anche in Belgio. Il nome di S.Gudula, che è anche la patrona del Belgio, invece, mi riesce nuovo…Ne saprò di più, mi propongo, quando entrerò nella cattedrale, che è dedicata a entrambi.

Gli ornatissimi edifici della GrandPlace portano impressa sulla facciata la stessa data (1689), perché, dopo che un bombardamento francese aveva, nel Seicento, distrutto la piazza, furono ricostruiti nello stesso scorcio di secolo, grazie anche al mecenatismo dei brasseurs , i birrai.

I ristorantini all’aperto vantano specialità ai frutti di mare, astici e gamberi, che fanno venire l’ acquolina in bocca, però mi frena il dubbio sulla loro freschezza; ma sì, grazie al canale artificiale navigabile che collega (dal 1600) Anversa a Bruxelles, la merce arriva presto sulla tavola, come ho modo di verificare di persona – e con piena soddisfazione – davanti ad una monumentale grigliata e alle moules marinières…

La GrandPlace, oltre ad essere la cartolina a colori della città, è un libro aperto sul passato dei belgi, grazie anche alle targhe commemorative che aprono uno spiraglio sulla loro fierezza e sul loro spirito libero, conquistato a costo di rivolte e insurrezioni, come testimonia, poco lontano da qui, la bella statua eretta in omaggio alla giovane popolana Gabrielle Petit, fucilata dai tedeschi il I aprile 1916, e “in memoria delle donne belghe morte per la patria (trad.d.r.)”.

Mi sembra che due episodi emergono, particolarmente significativi, dal passato travagliato del Belgio.

Filippo II di Spagna, che aveva ereditato dal padre Carlo V (sul cui impero non tramontava mai il sole) questi territori, li oppresse con pugno di ferro, contrastandone la fede religiosa (per lo più protestante). Insurrezioni e guerre di religione culminarono nella decapitazione (1568) di due protagonisti della rivolta, i conti Egmont e Hornes, il cui monumento campeggia in un bel parco del quartiere Grand Sablon, nei pressi delle loro dimore gentilizie.

Dopo gli spagnoli, fu la volta dei francesi (1745) e poi dei ministri plenipotenziari nominati dagli Asburgo. Quando Giuseppe II promulgò una serie di editti di carattere civile e religioso, provocò una rivoluzione nel Brabante e a Liegi. L’esercito olandese fu cacciato (11 dicembre 1789), e fu allora che nacque l’inno nazionale, “La brabançonne”. Ma l’assetto deciso al Congresso di Vienna (1814) che ricostituiva lo status quo ante non durò a lungo, e, nel 1830, sull’onda della rivoluzione parigina, mentre in Italia maturava l’idea risorgimentale, fu pubblicato un appello contro gli olandesi. La rappresentazione dell’opera lirica “La muta di Portici” di Aubert e Scribe, ambientata all’epoca della sommossa napoletana di Masaniello, suscitò, nel teatro di Bruxelles, un tale entusiasmo, da propagarsi nelle strade, dando inizio ad una serie di rivolte che sfociarono nella dichiarazione dell’indipendenza dall’Olanda, e nell’offerta della corona a Leopoldo di Sassonia-Coburgo.

Questi accettò, dando origine, con la moglie Louise Marie d’Orléans (a cui è intitolato uno dei viali più lunghi della città) alla prima monarchia belga; giurò sulla Costituzione, e, durante il suo lungo regno(1831-1865), dando prova di saggezza, tenacia e coraggio, fece del piccolo e fiero Belgio uno tra i più ricchi e civili Paesi d’Europa. Anche se non mancarono qua e là altri contrasti religiosi: nel 1837, ad esempio, sorse la Libera Università per volontà dei massoni, in contrapposizione a quella di Lovanio.

Non ci si rende conto delle dimensioni reali di Bruxelles, che è un pentagono enorme (di cui fa parte anche il parco miniEuropa) circondato da ben 19 comuni, immersa com’è nel verde di giardini variopinti e di macchie boschive attraversate da lunghi viali alberati dove il traffico scorre silenzioso e ordinato: qui niente imbottigliamenti, niente nervose clacsonate; le strisce pedonali non rischiano di scolorirsi, come le nostre, perché realizzate in pietra bianca, e pure le piste ciclabili hanno il loro semaforo…Basta rispettare scrupolosamente i percorsi tracciati e tutto filerà liscio.

L’ampiezza delle piazze, poi, dà la sensazione di dominare lo spazio.

E’ nella seconda metà dell’Ottocento e nel primo Novecento che la città si trasformò, assumendo in gran parte la fisionomia attuale. La Senna venne coperta per bonificare i quartieri bassi e per poter procedere alla costruzione dei grandi boulevards degni della nuova borghesia, mentre il Bois de Cambre, arricchito da maneggi, laghetto e scuderie, divenne la passeggiata dell’aristocrazia.

In questo periodo due personaggi, ognuno con il proprio ruolo, contribuirono all’abbellimento e alla ottima funzionalità della città. Uno, è il borgomastro Charles Buls Karel, ricordato con una targa, con l’intitolazione di una strada prospiciente la GrandPlace, e con una bella statua bronzea (molto fotografata dai turisti) comodamente assisa alla fontana scultorea dell’animato Marché aux fleurs.

L’altro, è vanto e gloria non solo di Bruxelles, ma dell’intero Belgio, non meno di Magritte e di Simenon. Casa privata (hotel) e studio oggi sono visitati come musei, e a lui sono intitolati un viale e una galleria.

Si tratta dell’architetto Victor Horta, nato a Gand nel 1861, vissuto e morto nella capitale belga nel 1947. Precursore dell’Art Nouveau, rivoluziona il modo di concepire le abitazioni, occupandosi anche dello studio e della realizzazione delle luci, degli arredi, della decorazioni delle pareti.

Con lui, che progetta gran quantità di abitazioni per intellettuali e artisti, le kilometriche serre della tenuta reale di Laeken, la stazione centrale, strutture museali, la città cambia radicalmente volto e stile, perché Horta sfonda - suscitando molto clamore - le facciate in cemento, crea armature di ferro, apre finestre, forgia il ferro in volute floreali e colonnine tortili. E’ tanto famoso che a lui si ricorre per ogni genere di monumenti, come la tomba del musicista Johannes Brahms (Vienna).
Grazie a lui, l’Art nouveau si diffonde in Europa: le sue “principali case cittadine” diventeranno un bene dell’umanità protetto dall’Unesco.

Già sotto Leopoldo I Bruxelles si affermava come foyer culturale, attirando artisti ed intellettuali. Qui sono passati, tanto per fare qualche nome, Baudelaire e Hugo, qui si consumò il dramma vissuto da Verlaine e Rimbaud (1873), e lo scultore Auguste Rodin vi lavorò, collaborando anche alla realizzazione del palazzo della Bourse, opera in stile eclettico simbolo della nuova borghesia. La sua scultura più celebre, “Il pensatore”, si può tuttora ammirare al cimitero.


Più tardi, negli anni ’30 del Novecento, sarà il poeta Paul Claudel a soggiornare in città. A quanto pare, la sua mèta era spesso la chiesa Notre-Dame du Grand Sablon; vi andava - lo ricorda una targa - a pregare, forse anche per la sorella Camille, la grande scultrice finita in manicomio a causa della sfortunata relazione con il suo maestro Rodin.
Ed ecco ora la cattedrale, dedicata, come ho detto, ai santi Michele e Gudula.
Nome celtico, Gudula, che vuol dire “buona, gentile”; questa santa (650-l 712) apparteneva ad una nobile e pia famiglia del Brabante. La fanciulla, dedita alla carità e alla preghiera, ogni alba si recava in chiesa sottoponendosi a un cammino di 4 kilometri dal suo paese, Moorsel.

Hubert di Brabante, primo biografo della santa (XI sec.), racconta che la giovane si illuminava il cammino con una lanterna, che però il… demonio tentava di spegnere con un soffio.

Infatti è rappresentata, come S. Genoveffa a Parigi, con una candela. Dopo alterne vicende, i suoi resti mortali, presso cui Carlo Magno, suo lontano parente, spesso si recò a pregare, furono trasferiti (1047) a Bruxelles, nella collegiata di S. Michele, poi ribattezzata in suo onore.

Giovanni I (1267-1294) duca di Brabante, eroe della famosa battaglia di Woeringen, benefattore di Bruxelles, sua città natale, fu tra i maggiori sostenitori del Capitolo di questa santa. Purtroppo, mi spiegano, le reliquie vennero disperse per mano dei calvinisti nel 1579.

L’interno della cattedrale, sontuoso e austero, ospita cappelle ed eleganti mausolei funebri in marmo bicromo, che racchiudono i resti di alti prelati.

Per un attimo, li associo ai preziosi mausolei ducali di Carlo il Temerario (1433-1477) e di sua figlia Maria di Borgogna, che sono tra gli oggetti d’arte più straordinari della chiesa- madre di Bruges. Il fatto è che davanti al sarcofago finemente cesellato di quest’uomo un tempo potente e temuto per la sua brutalità, che qui giace per l’eternità coricato con le mani giunte e gli occhi aperti, vestito con l’armatura, secondo il costume medievale, il pensiero mi era andato naturalmente a Cola di Monforte, uno dei maggiori condottieri del Rinascimento italiano, nonché gloria di Campobasso e del Molise.

Il conte Cola fu accusato di alto tradimento nei confronti del duca Carlo, che serviva dal 1472 come capitano e consigliere di strategia d’assedio, e fu ritenuto responsabile della sua uccisione durante l’assedio di Nancy (Lorena) per aver disertato il campo qualche giorno prima dell’attacco. Quest’episodio pesò come un macigno sulla reputazione di Cola, perché diversi chroniqueurs del tempo - in primo luogo Philippe de Commynes, che del duca di Borgogna Carlo era stato ciambellano e consigliere prima di passare al campo avversario - tracciarono di lui un’immagine di bassezza e perfidia. Cinque secoli dopo, spetterà a Benedetto Croce, che del conte Cola si era minuziosamente occupato, forse anche spinto dal ricordo affettuoso della nonna paterna, che era campobassana, mettere in chiaro i fatti documentando le vere ragioni del comportamento del Monforte, che dal violento duca aveva subito l’affronto di uno schiaffo per aver preso - inutilmente - le parti di un nobile milanese, poi impiccato. E proprio a Cola toccò, la mattina dopo la battaglia, tra la neve e il ghiaccio di quel 6 gennaio 1477, “rinvenire al campo lorenese il corpo nudo e segnato da orrende ferite del duca, del quale fin allora si ignorava se fosse morto o avesse trovato scampo nella fuga”.

Una svolta fondamentale che ha reso di fatto Bruxelles città internazionale è stata la nascita dell’Unione Europea, a favore della quale il 6 maggio 1950 si scriveva: “La paix mondiale ne saurait être sauvegardée sans les efforts créateurs à la mesure des dangers qui la menacent”. Diventare capitale europea ha significato molte cose, sulle quali non mi soffermerò; basti dire che oggi il 50% della popolazione è maghrebina, e che qui sono rappresentate molte centinaia di istituti europei con tutto il loro seguito; questo insieme di fatti ha contribuito in maniera particolare alla rapida internazionalizzazione degli abitanti. E Bruxelles ha saputo cogliere - mi sembra - l’occasione per fare molti passi in avanti sulla via di una effettiva integrazione tra civiltà e culture diverse, riconoscendo uguali diritti e doveri a tutti, e trattando tutti con la medesima dignità e il medesimo rispetto. Al perdurare della quiete convivenza tra le due anime - vallona e fiamminga - dell’identità belga e alla riuscita dell’amalgama del melting pot etnico non sono estranei né l’attivismo costruttivo di una cultura aperta e dinamica, né l’azione capillare della Chiesa belga, che fa la sua parte nell’avvicinare i gruppi di orientamento religioso affine, e nel creare continue occasioni di incontro, condivisione e aggregazione.

Da qui sembra lontanissima, impossibile, la cruda realtà trasmessa dai tiggì italiani sulle condizioni di vita subumane in cui sono tenuti i lavoratori migranti clandestini…

Ma allora, mi chiedo, un’altra via è possibile? Intorno a me, per le strade della capitale belga, egiziani, indiani, turchi, nordafricani, ispanici, cinesi, e tutti fanno il loro lavoro - gestiscono ristoranti,negozi e bar, conducono taxi e mezzi pubblici - sembrano tranquilli, perfettamente inseriti, gentili e accoglienti non diversamente dagli autoctoni.

Mi ha piacevolmente sorpreso vedere il Palazzo europeo dedicato - meritatamente - al “nostro” Altiero Spinelli, fondatore, nel lontano 1943, del Movimento federalista europeo; profetico e appassionato, ebbe contatti anche con Gorge Orwell e Albert Camus, e con quest’ultimo si intratteneva al Crocodile club di Strasburg.


Il firmamento del Parlamentarium è costellato con le immagini delle figure più rappresentative del continente, tra cui F. Kafka, A.Einstein, Marie Curie, Barbara Houtton, V.Hugo, G.Verdi, e tutto parla del cammino faticoso che ha portato infine all’inno alla gioia di Beethoven arrangiato da Von Karajan, alla bandiera con le 12 stelle simbolo ellenico della perfezione, al motto (nato nel 2000) “In varietate concordia”. Essi mi sembrano sintetizzare bene lo spirito europeo, ma molto ci sarebbe ancora da fare, per una Unione davvero forte e compiuta, e non solo per frenare le tentazioni centrifughe dei partner dell’eurozona.

Tra i tanti simboli della sua Storia che avrebbe potuto scegliere, Bruxelles ha preso il “mannekin pis”, il bambino che “zampilla” pipì, grazie alla quale, nel lontano 1619, riuscì a spegnere - secondo la tradizione - la miccia di una bomba francese. E infatti, la figurina del manneken imperversa, con quella dell’Atomium, in ogni dimensione e colore, nei sovraccarichi negozi di souvenir. Curiosamente, lui fa il paio con il piccolo eroe olandese Hans Brinker, che, secondo la leggenda, fermò con il dito e poi con tutto il braccio per una notte intera il buco della diga che minacciava di inondare d’acqua il Paese.

Ma i belgi, si sa, hanno il dono dell’ironia e dell’autoironia, e così hanno trovato il modo di sdrammatizzare la storia del manneken: nel 1985 Denis-Adrien Debrouvrie ha realizzato la “Sorella del manneken pis”, una statua di mezzo metro rappresentante una bimba con una piccola coda di cavallo e l’aria soddisfatta, mentre, accosciata, urina.

Del resto, questa è la patria dei puffi (gli schtroumf, nati dalla matita del cartoonist Pierre Cuillford, in arte Peyo, 1928-1992), e la statua gigante di un puffetto sorridente accoglie grandi e piccoli al centralissimo museo delle figurines e bandes dessinées.
Prossima tappa, Amsterdam…
Rita Frattolillo, agosto 2012

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