martedì 15 aprile 2014

Lisbona tra vecchio e nuovo


di  Rita Frattolillo

Capitale fin dal 1256 del  Portogallo, che conta  10 milioni e mezzo di abitanti,  ed è stato monarchico fino al 1910, Lisbona era considerata una “insenatura vivente” dai Fenici che vi si insediarono, seguiti dagli Arabi e  poi dai Romani. La città di oggi, con i suoi 600mila abitanti - che con l’area metropolitana diventano 2 milioni 300mila - rispecchia fedelmente nel melting-pot l’incredibile mescolanza di popoli, culture e idiomi diversi qui approdati grazie alla sua storia di impero coloniale. In tutto il globo, il portoghese è parlato da  210milioni di persone, il che ne fa la quinta lingua più diffusa al mondo. Il Portogallo, che è entrato nella UE  nel 1986, ha maturato quindi per le sue ragioni storiche il processo di assimilazione dello straniero, e sarebbero del tutto  incomprensibili i rigurgiti di becero razzismo  a cui assistiamo quasi quotidianamente in Italia senza neanche meravigliarci più di tanto. Figurarsi se i nostri xenofobi vedessero il loro stadio come l’Arena lisbonese con le mezze lune arabe sulla cima delle cupole! Una buona sintesi di questo melting-pot mi sembra rappresentata dalla pacifica convivenza di colombi, fenicotteri e gabbiani che intravedo svolacchiare a pelo d’acqua sulla distesa liquida del grande fiume Tajo. Fiume che, fondendosi nell’abbraccio senza fine dell’Oceano Atlantico, diventa salato come questo, e si colora di azzurro come le azulejos che vestono i palazzi e gli interni delle case.
Il respiro dell’acqua su cui Lisbona è protesa come una splendida terrazza, si sente nel forte sbalzo termico, e nelle folate di vento che improvvise scompigliano i capelli e le vesti. Ma per immergersi nel suo azzurro occorre calpestare le dune sabbiose frustate dal vento oceanico che corre a 175 km e arse dal sole implacabile, dove attecchisce solo un manto di piante grasse scure come ciocchi di Natale. Contro la scogliera frastagliata a strapiombo si gettano senza sosta le onde furiose dell’oceano. Questa dell’Estremadura è la punta più occidentale dell’Europa, il Promontorium magnum dei Romani, il Cabo da Roca; dove i turisti giapponesi si fanno fotografare sorridenti davanti alla scritta del grande poeta lirico Luis de Camoes “Aquì donde a terra se acaba e o mar começa”. E dove i più esigenti pretendono il certificato di presenza, da esibire come un cimelio al loro ritorno. Ma il Cabo da Roca, ci informa la guida, è anche un’attrazione fatale per aspiranti suicidi, qui come alla Boca do Inferno: un orrido di scogli anneriti dove l’acqua è penetrata scavando gallerie e antri; da queste parti gira una storia su Fernando Pessoa, uno dei numi tutelari di Lisboa, che incontro seduto nella sua bronzea immobilità  davanti al suo bar preferito, il “Brasileiro”.

 Nato nel 1888 e morto nel 1935, le sue spoglie riposano dal 1985 nello straordinario monastero dei Jeronimos, eretto sul viale che costeggia  il fiume Tajo.
Pessoa,  primo letterato portoghese a figurare nella prestigiosa collezione della Pléiade, era un uomo enigmatico,  morto ad appena 47 anni per problemi epatici, mai sposato. Dotato di un certo humour, è stato  protagonista di qualche scherzo macabro. Uno è inciso sulla pietra alla Boca do Inferno, dove  un’iscrizione riproduce un messaggio secondo il quale Augusta Ferreira Gomes, compagna di Pessoa,  si sarebbe gettata nell’Oceano: “ Ano 14, sol em Balança: Nao posso viver sem ti. Sett. 1930 (Non posso vivere senza te)”. In realtà, era stato Pessoa, una passione per l’esoterismo, ad aver architettato una burla con l’amico giornalista Ferreira Gomes e il mago inglese Aleister Crowley (1875-1947). Quando la polizia trovò un portasigarette e un bigliettino sul bordo della Boca,  pensò al suicidio dell’inglese, e Pessoa, che lo aveva incontrato qualche giorno prima a Lisboa (1930), venne interrogato, con il sospetto di averlo ucciso e gettato nell’oceano. Per fortuna si evitò il peggio, perché il mago, poco dopo, ricomparve a Londra, e Pessoa poté essere scagionato.
 Vissuto dalla nascita alla giovinezza a Durban (Sudafrica) e poi trasferitosi con la famiglia a Lisboa, fu traduttore dall’inglese, sua lingua madre, dal portoghese e dal francese, e corrispondente commerciale in queste tre lingue.  Poeta e scrittore, è famoso per la sua singolare creazione estetica, l’invenzione degli eteronimi, che sono personalità dei suoi romanzi aventi una propria identità, con data di nascita e di morte, e una vita diversa da quella del loro autore. Prima di lui era stato Balzac, con la sua Comédie Humaine, a creare personaggi “indipendenti” dal loro autore.
Attraverso i tre eteronimi più famosi, Alvaro de Campos, Alberto Caerio, Ricardo Reis, Pessoa sviluppa riflessioni sulle relazioni intercorrenti tra verità, esistenza, identità, ma lascia quest’ultimo senza data di morte. Cosa di cui approfitta il Premio Nobel 1998 Josè Saramago (morto nel 2010) quando lo sceglie come protagonista del suo libro L’anno della morte di Ricardo Reis.
Cercare la casa “Dos bicos” di Saramago , che si trova nell’antico e popolare quartiere arabo di accesso alla città, Alfama, che vuol dire “Terme, sorgente”, significa tuffarsi in una comunità dove convivono da secoli ebrei, arabi e cristiani. Trovarla non è difficile, per via di un ombroso ulivo centenario. Oggi  accoglie la Fondazione Saramago. In alto, verso  la cima dell’Alfama, torreggiano le cupole del Pantheon nazionale, che è la chiesa di Santa Engraçia.
 Qui sono sepolti navigatori come Pedro Alvarez Cabral, letterati come Aquilino Ribeiro (1885-1963), eroi della libertà come Humberto Delgado (1906-1965), generale dell’aeronautica, oppositore della dittatura di Salazar, candidato presidente della Repubblica  nel 1958, ucciso in una imboscata. La sua morte fu determinante per l’instaurazione del regime democratico, nell’aprile 1974.
L’unica donna tumulata nel Pantheon  è la grande cantante di fado Amalia Rodrigues (1920-1999), la cui casa è  un museo molto frequentato dai turisti e dai fan della fadista, che contemplano ammirati i suoi abiti di scena, i ventagli e i gioielli preziosi, i cartelloni degli spettacoli. A quindici anni dalla sua morte, la Rodrigues è ancora molto amata, come testimonia  il monumentale fascio di fiori che troneggia davanti alla sua tomba. Ma di fado, per le strade e le piazze di Lisboa, se ne sente poco, la città ha fretta di svecchiarsi, è molto meno “antigua”, e guarda avanti con determinazione.
Come è accaduto per altre città, anche qui l’Expo  del 1998, con i 146 Paesi partecipanti e gli 11 milioni di visite, è stata un’occasione imperdibile per una nuova fisionomia urbana. A Lisbona si è fatto ben più del maquillage a un ex quartiere rurale, Alameda, che si è visto arricchito da padiglioni, viali, giochi d’acqua, grattacieli trasparenti, impianti sportivi, il grande shopping center, le Twin towers, la torre Vasco Da Gama (145m, simile all’albero di una nave), l’oceanàrio (acquario). Tutto è stato fatto per trasformarlo - con successo - in un’area avveniristica.

Ma se grande è stata questa trasformazione, che ha investito la zona orientale della città, si deve ad una sciagura naturale il mutamento del volto della capitale lusitana, grazie ad un geniale statista. Dopo il terremoto, il maremoto e gli incendi che decimarono nel 1755 i 275mila abitanti, fu il marchese de Pombal, ambasciatore e ministro di re Joao, a  far rinascere la città e la speranza con determinazione e pugno di ferro (l’allegoria del leone che lo affianca nel gruppo statuario che lo raffigura parla chiaro). Diede per prima cosa il via alle costruzioni antisismiche a gabbia, e le volle dello stesso stile, stessa altezza. I maligni ripetono ancora oggi che era lui il vero re, ma sta di fatto che il marchese non si fermò davanti a niente, cacciò i gesuiti, denominò il vino Porto,  decise anche il tipo di pavimentazione a calçada, sfruttando il calcare e il basalto delle Azzorre come meglio non si poteva, con motivi musivi a fiori e greche di grande effetto prospettico che ammiriamo ancora oggi. Nel suo palazzo seicentesco, secoli dopo, nel 1969, è stata allestita la collezione privata del collezionista e finanziere armeno Calouste Gulbenkian (1869-1955), che si divideva tra Parigi, Londra e Lisbona. In quegli stessi anni è stato appositamente costruito il museo che, all’interno del grande  parco Gulbenkian, accoglie  opere straordinarie e rare di arte egizia, persiana, assira, cinese, giapponese, francese, italiana, inglese. Una sala del museo-Fondazione è dedicata ai gioielli da favola creati da René Lalique, grande amico dell’armeno.
 Al marchese de Pombal è giustamente intitolata una delle piazze più grandi di Lisbona, dove la sua statua troneggia sull’alto fusto della colonna marmorea. Da lì si dipartono, come a Place de l’Etoile, larghi viali alberati a raggiera che attraversano i quartieri inerpicati sulle sette colline dove è adagiata Lisbona, similmente a Istanbul e Roma.
In cima, dopo una corsa in tram sfenestrati e ventilatissimi, si gode la vista del castello San Jorge, con le sue undici torri, costruito dai Mori nell’XI secolo allo scopo di ospitare la guarnigione militare e, in caso di assedio, le élites che vivevano nell’alcazaba (cittadella). E’ dedicato al santo guerriero da quando la regina inglese ne volle introdurre il culto. La prima invasione araba, nel 711, segnò per secoli il destino del Portogallo. Le lunghe lotte per cacciare i Mori richiesero a un certo punto l’ausilio dei Crociati stranieri e dei Cavalieri Templari, il che conferì un sapore di proselitismo religioso al desiderio di difesa, ma anche di conquista, dal momento che crociati e templari invasero la Terra Santa. Tuttavia i conflitti promossi contro le nazioni islamiche non impedirono gli scambi commerciali, e il trasferimento in Portogallo di scienziati e matematici arabi portò alla creazione di centri di ricerca, vera fucina di sviluppo delle tecnologie navali.
La precoce esplorazione marittima da parte dei portoghesi ebbe inizio per aggirare le difficoltà messe in piedi dai vicini di casa. L’aperta ostilità di castigliani e  aragonesi impediva infatti gli scambi commerciali via terra con il resto dell’Europa, in particolare con le Fiandre e con le città della Lega Anseatica. Lo sviluppo della marineria, quindi, dovuta in gran parte agli arabi,  espanse a poco a poco il potere dei regnanti oltremare.
 Il primo grande navigatore fu il principe Enrico (1400), capo dei Cavalieri Templari, che mise a disposizione dei suoi capitani enormi risorse finanziarie e le carte nautiche di cui poté venire in possesso. Purtroppo avviò anche la trista era del commercio degli schiavi, ma si deve a lui l’inizio della fortificazione di tutta la costa portoghese, che è lunga 600 km, e interamente costellata di fortezze erette a difesa del Paese. Tra esse, la più scenografica, nonché porta cerimoniale della città, è sicuramente  la Torre di Belem (Betlemme), che si erge nel Tago, vicinissima alla riva, a poca distanza dal monastero dei Jeronimos.
 Dopo la morte di Joao I  (1456-1495), l’impresa della sua costruzione fu portata a termine da re Manuel I(1514-1519). Siamo agli inizi del 1500, e il lavoro fu affidato agli architetti Francisco de Arruda e Diego de Boitaca, quest’ultimo architetto anche del vicino monastero.  Esempio lampante dello stile manuelino, la torre è  una trina, stracarica di garitte e torrette sormontate dalla croce, e di merli, scolpiti a forma di scudo con la croce in campo. Vi si accede dal piccolo ponte levatoio. All’interno varie stanze, cortile, celle per i prigionieri, gargouilles zoomorfe. Nel tempo, la torre servì da dogana, telegrafo, e naturalmente da faro. Il 4-4-1846, essendo regina Maria II e ministro della guerra il duca di Terceira, la torre fu ristrutturata e riportata alla sua forma primitiva. Una curiosità che  raccontano riguarda l’arrivo di un rinoceronte destinato al Papa Leone X; la nave naufragò, e la carcassa del  rinoceronte servì da modello per una gargouille, e ad Albrecht Durer per una  incisione. Intorno alla Torre, e fino al monastero, molte donne tentano di  vendere  mantiglie e foulard di velluto coloratissimi.
Il monastero dos Jerònimos si erge in tutto lo splendore dello stile manuelino, un misto di tardo gotico, arabo, fiammingo e rinascimento. Secondo la leggenda, venne costruito sul luogo della chiesetta in cui Vasco da Gama e il suo equipaggio passarono in preghiera la notte prima della partenza per il viaggio che li portò alla scoperta della rotta per l’India (1497-98) attraverso il superamento del Capo di Buona Speranza. Vasco è stato chiamato l’ultimo navigatore, e in effetti la sua impresa, con quel che ne seguì, con la colonizzazione delle coste dell’Africa, completò il lavoro iniziato da altri, e ingigantì il prestigio dei re, sempre in accesa competitività con gli spagnoli.

 Qui nel 2007 è stato firmato il Trattato di Lisbona, che riforma i trattati su cui si fonda l’UE. All’interno del monastero, il tempio, prima espressione dello stile rinascimentale italiano rivisitato, lascia senza fiato per la sontuosità e l’altissima crociera con fiori in pietra che suggellano i nodi degli incroci. Oltre ai monumenti funebri reali, colpiscono per la ricchezza de fregi e dei rilievi i due sarcofaghi di Luz de Camoes (1524-1580), e quello di Vasco da Gama (che fu nominato viceré l’anno della morte, nel 1524). Ancora oggi è vivo il ricordo nella popolazione  di queste  due figure. A Vasco da Gama  sono intitolati viali, ponti, torri, centri commerciali, persino parcheggi. A conferma che è sempre attuale la frase dello storico portoghese Alexandre Herculano (1810-1877) : “Guardar a memoria, viver a història”. 

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